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E lo rifamo? Avoja!

Alcune considerazioni a caldo sulla manifestazione del 22 ottobre rivolte in primo luogo a compagn di Bologna. Per rilanciare un dibattito collettivo di cui ci pare ci sia urgenza.
E per aumentare il volume di intrecci, lotte e conflitto sociale. Nelle prossime settimane ci piacerebbe riprendere parola, magari assieme ad altr, in modo più generale.

Ieri Bologna era bellissima. Una marea di persone nelle strade. Fino a poche settimane fa, chi lo avrebbe mai detto? Ma non è solo una questione di quantità. Un corteo non rituale, che attraversa le periferie urbane. Un corteo determinato, che sin dall’inizio pone in modo collettivo l’intransigenza della pratica dell’obiettivo: bloccare la tangenziale. E lo fa cambiando gli schemi sia “di movimento” (parola che usiamo per capirci, ma è chiaro che oggi è parola vuota e da superare) e quelli con le controparti (nessuna delega a “portavoce” per trattare con la Questura, nessuna “autorizzazione” da chiedere per manifestare, ma porre in modo collettivo e coi rapporti di forza il percorso senza cadere nelle solite paranoie e paure di “trappoloni” retaggio di inizio Duemila).Interrompere i flussi di auto e merci, inceppare la normale riproduzione del metabolismo tossico capitalista come segnale di ingovernabilità e minaccia, mettere in discussione i tracciati logistici. Praticare l’obiettivo in una dimensione di massa, radicale e condivisa. Dire con chiarezza: NO. No al Passante come emblema di un modello di sviluppo, ma anche tante altre dimensioni di rifiuto che si sono mischiate nella piazza. L’abbiamo fatto in tante e tanti ieri. Una pratica efficace, non (solo) simbolica ma concreta. Certo, ci sarebbe piaciuto fare tanto altro. Ci saranno altre occasioni, questo era solo un passo dentro un processo. Se non avessimo qualche ritrosia sul lessico dei diritti, potremmo chiamarla una bella giornata di “diritto alla città”.

In un periodo durissimo e di sbandamento per le lotte, i conflitti sociali e le prospettive di trasformazione radicale del presente, un corteo come quello di ieri non era scontato. Per noi, accettare questa scommessa aveva significato sin da subito insistere sulla possibilità di aprire nuovi spazi politici, nuove processualità, provare ad accelerare, tentare ostinatamente di iniziare a invertire la rotta. Il 22 ottobre ha fatto tutto questo? Ovviamente no. Non basta certo una singola data per cambiare i rapporti di forza. Al contempo, senza il 22 ottobre crediamo che non ci sarebbe stata nemmeno la possibilità di pensare a questi nodi e ipotesi. Insomma, la partita comincia adesso. Il 22 può aver dato una mano a iniziare a cambiare scenario, ha cominciato ad alludere a forme di composizione, assemblaggi e ri-combinazioni tra tante soggettività sociali. Ma l’insorgenza è una pratica quotidiana e un evento a venire. La convergenza un possibile metodo da sperimentare. Il per questo, per altro, per tutto, mira a un divenire. C’è ora da dare fiato alla processualità e lavorare sull’oltre-22.

Non nascondiamoci però i tantissimi limiti emersi in questo percorso di convergenza, che ereditiamo per lo più dal passato. Lo specchio è stata l’assemblea del 5 ottobre. Tanto partecipata quanto poco “convergente”, con tratti problematici ma soprattutto con una sequenza di interventi auto-narrativi sui singoli percorsi e pochissima o nulla attenzione al misurarsi sulla possibilità di aprire una nuova fase all’altezza della drammaticità del periodo storico che stiamo vivendo.

Specchio di come o la convergenza si costituisce come spazio-tempo politico in grado di andare radicalmente al di là della cerchia pre-esistente dei ceti politici, o semplicemente invece che produrre insorgenza ri-produce la debolezza dell’esistente. Anche per questo assieme ad altre abbiamo co-promosso il percorso di discussione ConvergenX, che ci piacerebbe rilanciare come strumento collettivo di discussione politica per delineare possibili piattaforme per le convergenze a venire.

Più in generale in questi ultimi mesi c’è stat chi si è mess alla finestra in modo un po’ opportunistico guardando da fuori che succedeva per infilarsi senza sforzo all’ultimo (ci riferiamo più che altro a singole persone e gruppi, non a percorsi coi loro legittimi tempi di discussione). C’è chi ha ragionato solo in termini di visibilità. Chi ha trovato uno spazio accogliente per fare grandi polemiche e basta. Abbiamo sempre apprezzato i “cattivi maestri”, ma in queste settimane c’è capitato di incontrare qualche “maestro buono” con le ricettine pre-confezionate sul come si fa, supposti interpreti della volontà generale e di fatto solerti esecutori della più bieca moderazione sinistra. Beati loro, faranno compagnia agli accademici senza accademia finiti a discettare di nuova resistenza nelle loro nuove torrette d’avorio. Qui c’è invece bisogno di uscire dai recinti, praticare una politica di massa, e muovere all’attacco.

C’è anche chi ha curato solo i propri micro-interessi e orticelli. Noi abbiamo provato ad aprirci, ci siamo messi in dialogo, ci siamo messe in gioco. Abbiamo sbagliato imprecato litigato lottato dato tanto. La scommessa, nella sua parzialità, ci sembra ci abbia dato ragione. Ci saranno ad ogni modo altre occasioni, e speriamo che chi ha esitato questa volta, lotterà con noi domani. E salutiamo e ci stringiamo alle tante e tanti che invece, pur magari con vedute differenti dalle nostre, in questo percorso hanno creduto e investito con passione e intelligenza.

Proviamo ad aggiungere alcune riflessioni per rilanciare un dibattito collettivo. In queste settimane abbiamo sentito emergere ripetutamente un tema: quello della cosiddetta “orizzontalità”.

A noi lo schema di pensiero orizzontalità/verticalità sembra un modo vecchio di pensare la politica.

Un modo, tra l’altro, tutto legato all’immaginario politico dello Stato. In basso i cittadini, in alto il Sovrano. Pensiamo che sia necessario pensare al di là e al di fuori di questo schema. Ci pare infatti che pensare percorsi di convergenza, composizione o come li si preferisce chiamare, significhi immaginare processi né orizzontali né verticali, ma che traccino trasversalità e diagonali, connessioni e passaggi al di fuori delle geometrie pre-costituite. Se poi orizzontalità vogliamo tradurlo come eguaglianza, diciamolo chiaramente: viviamo in una società brutalmente diseguale.

L’eguaglianza non può che essere un “divenire”, una conquista da realizzare, un processo aperto e conflittuale. Presupporla invece come punto di partenza, ci sembra purtroppo pura ideologia.

Potremmo dire che si tratta forse di pensare i percorsi di organizzazione collettiva in termini ecologici. Come costruire ecosistemi politici complessi e variegati, in cui soggetti, percorsi, iniziative, organizzazioni e soggettività differenti possano farsi forza collettiva senza immaginarsi come individui o atomi tutt appiattit su una stessa linea orizzontale.

Riconoscere/riconoscersi nelle differenze e metterle a valore politico senza voler creare una omogeneità. In questo scenario le organizzazioni (gruppi, collettivi, assemblee, sindacati, etc.) pre esistenti possono funzionare, spesso lo fanno, come elementi di blocco. Oppure mettersi al servizio come infrastrutture dei processi di potenziamento collettivo per aprire nuovi spazi. Senza ricercare visibilità fine a sé stessa ma funzionando come propellenti per processi nuovi. Un secondo punto, legato al primo: abbiamo sentito spessissimo parlare di metodo, e pochissimo parlare di merito politico (obiettivi, ambizioni, urgenze, sogni). Contrapporre metodo e merito ci pare un grosso problema. Anche qui: se pensiamo metodo e merito in senso dicotomico, come due ambiti separati, si rischia di avventurarsi in un vicolo cieco. Ci sembra piuttosto che se assumiamo fino in fondo la politicità del metodo, sia forse necessario concentrarsi di più in futuro sulla politicità come merito, su come il metodo stia assieme al merito come obiettivi collettivi da raggiungere, come i grandi fini che vogliamo costruire.

Giustapporre i piani e non guardare al metodo come un qualcosa di universale, indifferentemente applicabile, giusto in sé, facendolo quasi diventare un fine sganciandolo dalla materialità dei processi e non situandolo. Non articolando continuamente metodo e merito/fine politico.

Ora… Come dare continuità al 22 ottobre? Sicuramente è necessario rilanciare con forza i percorsi di lotta e contrapposizione, e inventarne di nuovi. Possiamo poi pensare di organizzare collettivamente nei prossimi tempi una nuova assemblea in cui confrontarsi su come costruire nuove tappe? Può funzionare? Parliamone, tramiamo, cospiriamo, lottiamo… verso future insorgenze! Intanto… Ringraziamo @GKN per lo stimolo fondamentale alla base di questo percorso, ci vediamo nei picchetti e nelle piazze, negli scioperi e nelle occupazioni, nei confronti e nelle assemblee, negli spazi sociali e nei tanti momenti di lotta aperti in città. E ci si vede il 5 novembre a Napoli assieme al @Movimento disoccupati 7 novembre!

ll futuro è qui comincia adesso… Comincia rint’ ‘o mmo! Mmo! Mmo!

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