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Snodi sulla Palestina – La fase e noi

Alcuni spunti e quesiti verso la discussione dell’assemblea pubblica Quali nuovi scenari per le lotte? prevista per giorno 23 novembre dalle 18.00 a Vag61 (via Paolo Fabbri 110).

Scenario:
Stiamo vivendo nell’epoca della transizione senza fine all’interno del multipolarismo planetario, dove la guerra si impone sempre più al centro della scena dopo il periodo della Guerra Fredda (‘45-‘91), quello “dell’Impero” a guida nordamericana (‘91-‘01), e il lungo ventennio della transizione. Una guerra che non è la “Terza Guerra mondiale”, ma la prima guerra civile planetaria – un confronto/scontro magmatico tra entità politiche ed economiche eterogenee, tra differenti visioni della società, tra molteplici movimenti e forme di conflitto.

Geopolitica delle lotte:
A differenza di quanto accaduto con il conflitto in Ucraina, in cui sostanzialmente le piazze europee e globali sono rimaste silenti e si è per lo più imposta una narrazione pubblica di schieramento per blocchi, il conflitto palestinese ha aperto una mobilitazione che consente di ragionare di soggettività e prospettive di lotta – senza tuttavia cancellare gli enormi problemi che il primo nodo lascia sul campo. La lotta palestinese va letta nella sua storicità ma anche nella ricerca delle sue discontinuità. Le piazze del 2023 non sono le stesse del 2021 o del 2008.

Soggetti:
Le piazze alle nostre latitudini hanno visto la partecipazione poderosa e il protagonismo di un giovane proletariato delle periferie, razzializzato, migrante, con una grande effervescenza femminile, che nella bandiera palestinese vede un simbolo di riscatto, dignità e liberazione. Stiamo assistendo a embrioni di mobilitazione nei campus statunitensi e in alcune università italiane. Si stanno dando alcuni blocchi nei porti contro le navi di guerra. Come possiamo pensare a uno sviluppo di questi frammenti oltre la “contingenza” del conflitto in Palestina nei nostri territori? Senza ovviamente pensare a traduzioni lineari dalle piazze palestinesi alle lotte sul lavoro o per la casa, ad esempio, ma alla ricerca di contaminazioni, attraversamenti e potenziamenti.

Internazionalismo:
Rispetto ad epoche precedenti, la dimensione ideologica e concreta di relazione con soggetti in lotta è impossibile in forme lineari con profili come Hamas, dopo il crollo dell’ipotesi anticoloniale emancipatoria e comunista che ha egemonizzato il movimento anticoloniale del passato. Ciò non toglie che Hamas e le organizzazioni armate e sociali della resistenza palestinese rappresentino per lo più in quel contesto un’idea di resistenza che (come ipotesi) potrebbe andare al di là del velo ideologico. “Palestina Libera, Palestina Rossa”, come si cantava una volta, non è uno scenario dato. Cessate il fuoco, libertà per tutti i prigionieri, fine del colonialismo, restano però possibili punti fermi.

Antimperialismo/anticolonialismo:
Come si può riarticolare un discorso concreto su questo tema? Il dramma del colonialismo che elimina la distinzione tra civili e militari e il tema della violenza per come posto in passato, ad esempio, da Fanon come possono essere riletti oggi? Va decisamente scartata una lettura di quello che sta accadendo in Palestina che cominci dal 7 ottobre, oscurando la profondità storica e le molteplici temporalità in gioco in quel contesto, obliterando la dimensione di una nuova Intifada che nasce in modo giovanile e autonomo a Nablus e Jenin almeno a inizio 2023. In che misura si può pensare la costruzione di una nuova prassi e un nuovo discorso con ambizioni egemoniche a partire dal collasso del passato emancipativo nei lessici “occidentali”? Su quali snodi è possibile elaborare nuove prospettive?

Modelli:
Rispetto al passato, oggi non esiste un modello unico e “universale” da applicare per interpretare il presente. Come assunzione di partenza della riflessione, come problema, ma anche come stimolo a un pensiero politico in grado di aderire al reale e fondato su di esso e non su astrattezze ideologiche. La ricerca di uno schema ideologico che possa spiegare e organizzare il presente unendo su un unico piano, ad esempio, Rojava, Ucraina e Palestina, sembra fallace e apre a contraddizioni spesso laceranti (se non a veri e propri deliri…). Come possiamo cercare modelli politici in grado di tagliare il mondo multipolare a partire da una geopolitica delle lotte? In altre parole, il fronte in Siria del Nord e le sue polarizzazioni sono in contraddizione con il conflitto in Ucraina. La diserzione dai fronti in Ucraina non si applica a uno schema occidentalocentrico e coloniale che punti a equiparare e schiacciare lo lotta palestinese come uno scontro Hamas/Israele da cui disertare. Serve un pensiero forte, ma complesso. Da conquistare.

Idealismo:
La ricerca della “sinistra” nei contesti summenzionati è forse la strada sbagliata da perseguire per provare a rispondere ai quesiti sinora posti, anche se la fase dello sparigliamento delle coordinate politiche destra/sinistra in Occidente vissuto nel periodo del “populismo” dopo la crisi 2007/2008 sembra al momento essersi ricomposto. Serve probabilmente pensare a processi politici che partono a macchia di leopardo, frattali, in cui il “divenire universale” delle istanze è una posta in palio politica, contradditoria, e ora non data.

Pacifismo rivoluzionario:
Un pacifismo che significa liberazione ed emancipazione in un’ottica di classe, di diserzione dai blocchi, di disfattismo rivoluzionario di fronte alle guerre, ma al contempo attivo in termini militanti negli scenari di lotta, un pacifismo con capacità di scontro non limitato alle bandiere bianche o arcobaleno. Come rendere questa pratica concreta? Gli esperimenti di una mobilitazione “d’opinione”, ma anche quelli di individuazione di punti di attacco come le basi militari nel nostro paese, o i mini-esperimenti controllati in laboratorio di modelli di confronto, non sembrano al momento aver dato frutti significativi.

Il nostro ruolo:
Nelle piazze “palestinesi” alle nostre latitudini il ruolo proficuo delle militanti è stato quello del mettersi a servizio della possibilità di espressione dell’energia politica scesa nelle piazze. Questo rimanda a una postura che non mette in forma il/la militante come “avanguardia” che “dirige da davanti” né come soggetto esterno che indica obiettivi e parole d’ordine “da dietro”. Piuttosto il ruolo è quello di co-costruire coi soggetti in lotta (o potenzialmente tali) delle processualità politiche, mettendosi “a servizio” e lavorando sul “bordo” del conflitto per potenziarlo e dargli possibilità di espressione e durata. Una postura che mette definitivamente in discussione l’idea dei “gruppi” politici al tramonto e che spinge a costruire una nuova immaginazione e una nuova pratica politica che stiamo ragionando a partire dal “farsi infrastruttura” e al costruire “hub territoriali” e “piattaforme sociali”.

Laboratorio Crash!
Bologna, novembre 2023

HubAut Bologna

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