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NON VE NE LAVERETE LE MANI

FANGO AI RESPONSABILI, SOLDI AI TERRITORI!

Esattamente un mese dopo dal giorno culmine dei disastri alluvionali di maggio, l’Emilia-Romagna scende in piazza per portare il conto delle scelte politiche ai responsabili di questa crisi, l’Emilia-Romagna inizia a pretendere una ricostruzione radicalmente diversa dal prima e che abbia come metro i bisogni e i desideri non delle aziende, ma delle popolazioni.

Il 17 giugno appena trascorso, una fitta marcia popolare ha conquistato le strade della città di Bologna, portando al centro i connotati politici di quella che non può e non deve essere archiviata come una calamità randomica e causata dalla sfortuna. Al grido di “fermiamoli!” un gruppo eterogeneo, composto da migliaia e migliaia di persone, si è dato appuntamento in piazza XX Settembre con un obiettivo chiaro: puntare alla sede del governo regionale. 

Da Piacenza a Ravenna, infatti, è diventata motore per questo appuntamento la comune esigenza di gridare rabbia contro chi da decenni, sull’altare del profitto, crea deliberatamente le condizioni materiali affinché eventi del genere si verifichino sempre più spesso, con sempre più cruenza. Senza neanche andare troppo indietro nel tempo, è emblematico pensare all’entourage di soggetti che da quasi 10 anni amministra questo territorio a “pane e cemento” – promuovendo opere quali il rigassificatore di Ravenna, la motor valley di Modena, l’allargamento della tangenziale di Bologna, o ancora emendando leggi, sulla carta, contro il consumo di suolo e, nella pratica, incentivandolo –  che oggi appare sbigottito da quanto accaduto, sorpreso da questo imprevedibile susseguirsi degli eventi, incapace di una gestione capillare del disastro. D’altro canto, è ugualmente rappresentativo pensare a come questo Governo ormai in carica da quasi un anno – in pieno continuità con quello precedente, si intenda – abbia speso decine di miliardi per finanziare la partecipazione italiana al conflitto russo-ucraino, e come oggi, a un mese dall’alluvione in Romagna, non abbia alcuna intenzione di spostare di una virgola la finalità su cui stanziare fondi pubblici. 
Questo è un fatto: oggi, a più di quaranta giorni da quelle raffiche maledette, da quelle morti, da quella distruzione, tra Bonaccini e Meloni non si sia riuscito a tirare fuori un euro, concreto e tintinnante, per territori e vite devastate.

Un corteo, dunque, mosso da rabbia, da necessità di cambiamento, da voglia di riscatto. Un corteo consapevole delle radici sistemiche di questo disastro, consapevole della negligenza quotidiana che ha dato il via a questo domino. Un corteo non composto da angeli, ma da attiviste, da persone comuni, che in questo lasso di tempo si sono rimboccate le maniche per aiutarsi a vicenda senza mai scordare il perché ci si trovasse, letteralmente, sommerse dal fango. Un corteo che, soprattutto, ha praticato fino in fondo ciò che aveva annunciato.
Infatti, dopo aver paralizzato per diverse ore il traffico della città tra il centro e il quartiere della Bolognina, le manifestanti si sono dirette verso il palazzo della Regione per restituire una parte del fango con cui erano state colpite. Ad aspettarle, un ingente schieramento di reparti mobili già ore prima aveva cinto tutta la zona limitrofa nell’intento di dissuadere e ostacolare l’azione dimostrativa. Ma la determinazione di attivisti e attiviste, di famiglie, lavoratori e lavoratrici, pensionati e pensionate, si è imposta autolegittimando la propria presenza in quel piazzale e sanzionandolo simbolicamente con cumuli di fango spalati a mano, portati con i propri secchi, gridando «Questa è solo una parte infinitesimale, rispetto alle valanghe con cui ci hanno sanzionato le vostre politiche di morte!».

La marcia si è poi conclusa in piazza dell’Unità, tra testimonianze dirette di persone de tutta la Romagna e interventi di supporto da parte di realtà politiche locali e nazionali, dandosi appuntamento per il giorno dopo all’interno di una prima assemblea pubblica centrata sul tema della ricostruzione. Oggi, infatti, non esiste alcun tipo di dibattito rispetto al come ricostruire, su quali prospettive, intorno a quali priorità. Si vaneggia di interventi strutturali, si incita alla pazienza, si promette un idilliaco ritorno al come prima, e intanto si continuano a finanziare guerre e grandi opere inutili.
Ma la piazza dello scorso sabato aveva le idee chiare: 

  • Stop all’allargamento del passante di Bologna
  • Stop alla costruzione del rigassificatore di Ravenna
  • Stop spese militari
  • Soldi per i territori subito
  • Ricostruzione sociale e non dall’alto

Pretendiamo di essere noi le protagoniste della ricostruzione dei territori. Noi ovvero chi i territori li vive, chi ne conosce i bisogni e i desideri, e non impresari e industrie. Dopo avere già subito la fase 1 di questa emergenza – la distruzione – non subiremo . anche la fase 2, calata dall’alto e imposta da commissari, intenta a far tornare tutto come prima. No volveremos a la normalidad, porque la normalidad era el problema! Non vogliamo che tutto ritorni come prima, perché è colpa delle politiche del prima se si è arrivate all’oggi. Se “ricostruzione” rimarrà uno slogan vuoto e appannaggio dell’imprenditoria, questa regione pagherà il prezzo politico, economico, sociale delle alluvioni di maggio 2023 per i prossimi cinque, o dieci, o chissà quanti anni, 

Vanno costruiti futuri nuovi, futuri non scritti da altri, futuri giusti, degni, belli.
Il tumulto del cielo è stato un segnale inequivocabile dell’insostenibilità intrinseca al sistema estrattivista di cui siamo in balia. Fermiamo questa ruota mortifera e poniamo le basi collettive per qualcosa di nuovo!

HubAut Bologna

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